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Cosa accade se si clicca “Mi Piace” a tutto ciò che è pubblicato su Facebook

L’esperimento consisteva nel mettere mi piace a qualunque contenuto Facebook pubblicasse sulla propria bacheca per un totale di 48 ore di fila.

Pensate solo per un attimo a cosa significa collegarsi a Facebook e senza sosta, senza una logica, per qualunque post, video, commento, articolo, pagina, che vi si presenti nella vostra bacheca dovrete cliccare mi piace sempre e comunque, per 48 ore continuate.

Uno dei redattori della rivista Wired, Matt Hanon ha effettuato quest’esperimento sul proprio profilo di Facebook.
La prima cosa notata è che  quando si preme mi piace su un articolo, una pagina, o un qualsiasi altro contenuto, Facebook presenta immediatamente altri quattro  contenuti, che sono in qualche maniera correlati a quello su cui si è appena espresso il proprio apprezzamento.
Per completezza di esperimento si è proceduto a cliccare mi piace anche su questi 4 nuovi articoli presentati da Facebook.

L’idea alla base dell’esperimento era verificare come avrebbe reagito l’algoritmo di Facebook che propone appunto nuovi contenuti in funzione della rilevanza e del peso dei singoli contenuti su cui si è appena cliccato “mi piace”.

Dopo ventiquattr’ore collegandosi a Facebook da un dispositivo mobile ci si è subito accorti che l’unico tipo di contributi proposti dalla piattaforma social network erano di tipo pubblicitario; non vi erano più post inseriti da utenti. Mentre collegandosi da un computer fisso la maggior parte di post era di tipo aziendale, in netta superiorità rispetto a quelli di tipo umano, del cui tipo comunque apparivano ancora pochi post degli amici del redattore.

Da questo si è subito dedotto che Facebook ritiene molto più fruttuoso proporre contenuti, come spot pubblicitari, o annunci di inserzionisti a pagamento, sulle piattaforme e sui dispositivi personali, come smartphone, mentre su piattaforme desktop è stata comunque verificata la caratteristica di permanere di qualche post inserito dagli amici.

L’utente si sente così circondato da una specie di “io quotidiano”, ovvero un eco elettronica di convinzioni, fatta da un giornale, o un agenda, da lui stesso creata in cui però non sono presenti mai altre opinioni, se non quelle delle correnti di pensiero su cui ha espresso “mi piace” anche se solo per una volta, manifestando il proprio apprezzamento.

L’effetto dell’algoritmo EdgeRank di Facebook è realmente opposto a quello che magari l’utente si aspetta. Infatti dopo poco non riuscirà più a venire a conoscenza di altre opinioni espresse dai propri amici, o pubblicamente sul social network, perché ritaglierà su misura le notizie che appaiono, aggregando i contenuti sempre e solo secondo le tipologie di scelte già effettuate.

È decisamente un meccanismo subdolo, perché l’utente si sentirà sempre ideologicamente al sicuro, semplicemente perché punti di vista contrastanti con il proprio non gli saranno mai presentati, così egli non si sentirà mai contraddetto o messo in discussione, sentendosi protetto ed in un ambiente virtuale che gli risulta congeniale.

Personalmente vi consiglio di prendere con le pinze tutte quelle notizie che si leggono in giro, seppure dette da esimi professori di informatica, famosi giornalisti, o sociologi, che ritengono Facebook utilissimo strumento di informazione.

In effetti quest’esperimento conferma soltanto che il prodotto di Mark Zuckerberg propone si più contenuti, a livello di numero, ma questo non significa che informi di più i giovani, o gli adulti…
L’informazione esprime sicuramente un concetto di qualità, prima che di quantità.
Per cui vi è un altissimo rischio che Facebook sedimenti idee e concetti precostituiti, così da alimentare per un utente il senso di appartenenza ad un gruppo, che la pensa come lui, ma alimenta nel contempo l’odio nei confronti di coloro che non appartengono a quella suo stessa visione.

Bisogna pertanto, ob torto collo, accettare che consegnare la propria conoscenza nelle mani di un automa, di un algoritmo, di un software, di un social network significa che non saremo più padroni né noi, né i giornalisti  che propongono le notizie nella rete di scegliere cosa leggere o non leggere quotidianamente.
La forza dell’informazione sarà nelle mani di chi quali algoritmi li ha programmati e li possiede.

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